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Se l’Italia non scopre l’Europa

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Il voto con cui il Senato della Repubblica ceca ha ratificato l’altro ieri il Trattato di Lisbona rappresenta una tappa decisiva lungo la strada del rilancio del processo di integrazione che il referendum irlandese del 2008 aveva bruscamente interrotto. Non solo perché, nonostante i suoi proclami, si riducono i margini di manovra del presidente ceco Klaus per non firmare il Trattato. Ma anche perché il segnale che viene da Praga è destinato a influire positivamente sull’atteggiamento degli irlandesi, che si esprimeranno nuovamente in ottobre su un testo ormai ratificato da 26 parlamenti nazionali su 27.
Il Trattato di Lisbona irrobustisce notevolmente la struttura istituzionale dell’Ue e il ruolo del Parlamento, rendendolo titolare, alla pari del Consiglio, del procedimento legislativo ordinario e attribuendogli il potere decisionale sull’intero bilancio dell’Ue. Sono prerogative fondamentali, che si aggiungono a quelle assai rilevanti che il Parlamento europeo ha già oggi: basti pensare, per fare solo gli esempi più recenti, al no con cui i deputati hanno bocciato la direttiva che prevedeva un innalzamento dell’orario di lavoro oltre le 48 ore, o all’emendamento al “pacchetto Telecom”, approvato due giorni fa a Strasburgo, che nega la possibilità di imporre limitazioni ai diritti e alle libertà fondamentali degli utenti di Internet senza una decisione preliminare dell’autorità giudiziaria.
La prospettiva di un’imminente entrata in vigore del Trattato di Lisbona dovrebbe dunque spingerci ad accentuare ulteriormente lo sforzo, che il Pd sta compiendo, di mettere al centro della campagna elettorale l’Europa. Occorre insomma contrastare con decisione il tentativo del Pdl di sminuire la portata del voto (come dimostra anche la campagna qualunquistica che i giornali vicini alla destra stanno conducendo contro il Parlamento europeo), trasformandolo in un referendum su Berlusconi. In realtà, le elezioni del 6 e 7 giugno sono molto più che un test sulla popolarità del Premier, e gli equilibri che esse determineranno nell’aula di Strasburgo sono destinati a condizionare notevolmente il futuro del nostro continente. A confronto ci sono due diverse idee di Europa: un’Europa chiusa, conservatrice e intergovernativa, e un’Europa aperta, capace di promuovere il proprio sviluppo, rilanciare il suo modello sociale e concorrere a un governo democratico della globalizzazione. Il destino del nostro paese, così intimamente legato a quello della costruzione europea, dipenderà molto da quale prospettiva prevarrà. E tanto più sapremo far emergere questa posta in gioco, quanto più la scelta di serietà che ha contraddistinto la formazione delle nostre liste sarà premiata.

(su l’Unità dell’8 maggio 2009)


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